sabato 4 febbraio 2012

Un campione del mondo finito nei forni crematori di Auschwitz .


Quando il comandante delle S.S: indicò con un dito il piccolo prigioniero che stava ritto al termine della riga, Victor Perez ex campione del mondo dei pesi gallo , comprese che la sua ora era suonata . Non si trattava del gong che interrompeva la battaglia tra un round e l’altro, ma era qualcosa di più terribile e tragico .Due Kapò presero Victor ai lati e lo sollevarono scartandolo dalla fila dei prigionieri, trascinandolo verso il capannone scuro che era in fondo al campo .Non faticarono per niente a trascinarsi dietro l’ex campione del mondo dei pesi gallo poiché il prigioniero pesava come un granello di sabbia
Victor “Young” Perez nel 1942 quando l’esile corpo finì entro una camera a gas aveva trentun’anni. Per dieci anni aveva boxato in tutte le capitali della vecchia Europa: Parigi, Londra, Casablanca, Manchester, Zurigo, Vienna ed altre grandi città. Non era ma salito su un ring d’Italia anche se nella lunga carriera, quasi duecento combattimenti aveva incrociato i guantoni con diversi pugili italiani, tra cui Carlo Cavagnoli, Vittorio Tamagnini, Orlando Magliozzi, il bolognese Leone Blasi, Gustavo Ansini e Giovanni Sili che poi, si dice, dopo una dura sconfitta per fuori combattimento subita proprio da Perez perse la vita in combattimento .
Victor “Young” Perez era nato a Tunisi da genitori metà francesi e per metà zingari .Inizio a salire sul ring per necessità contingente :La fame. I suoi genitori avevano sfornato una caterva di figlioli e il cibo era sempre scarso in tavola Per questa ragione, Victor scelse la strada del ring per portare a casa qualche franco e aiutare i genitori .
Aveva allora 16 anni. Nato nel 1931 in quel di Tunisi dove salì sul ring per la prima volta come peso mosca, si fece conoscere per la durezza dei pugni . Vinceva un match dietro l’altro e i K.O era così frequenti che non riuscivano a contarli.
Nel 1929 al secondo anno come professionista debuttò a Parigi battendo per fuori combattimento un certo Mousseron noto come un forte incassatore.:
In poco meno di dieci mesi divenne una vedette del pugilato francese. La sua configurazione fisica gli consentiva di incrociare i guanti anche con pugili di peso maggiore .Saliva sul ring senza remore convinto dei suoi mezzi e confidava nei suoi pugni:. Era davvero un campione tanto che nel 1931 allo scoccare dei vent’anni batte il formidabile italo-americano Frankie Gennaro per il titolo mondiale dei pesi gallo .Fu una serata memorabile. Gennaro era il pugile del momento e le folle impazzivano per come interpretava il pugilato ,ma L’errore di Gennaro fu di incontrare Perez nel momento migliore della sua carriera e in due round perse il match e il titolo.
Perez anche se dimostrava grandissime qualità non era ben visto dalla stampa soprattutto quella austriaca e tedesca per via del vincolo di sangue ebreo ,come l’amico Izzy Schwart e Abe Golstein, grandi campioni ma osteggiati da una stampa corporativa .
Perez combattè ugualmente su tutti i ring della vecchia Europa incontrando i più grandi pugili del momento come il talento cubano Al Brown l’unico che lo sconfisse per il titolo mondiale
Nel 1935 dopo sette anni di professione, iniziò la fase decadente. Una volta era dichiarato vincitore, una volta perdente. Si era stabilito a Parigi dove viveva a fianco della comunità israelitica, professando la propria identità religiosa.,
A Parigi combattè ancora per tutto il 1936, per diradare le presenze sul ring nei due anni successivi . L’ultimo incontro si svolse a Berlino contro il campione di casa Ernest Weiss. Fu fischiato e insultato per tutte le 10 riprese e scese dal ring sconfitto ma non domo.
Nel 1942 in una delle tante retate contro gli ebrei fu catturato e deportato in campo di concentramento ,il peggiore Auschwtz dove perse la vita assieme a tanti altri.
Aveva soltanto 31 anni .

martedì 5 ottobre 2010

ADDIO ULTIMO TRAM





Ogni volta che passo da Piazza Minghetti, mi fermo a guardare dove a ridosso della siepe che delimita il giardinetto, c’era, e c’è ancora la fermata dell’autobus che porta a San Ruffillo.
Una volta era il tram , il n° 13 e faceva appunto capolinea quasi sotto il monumento al buon Minghetti che saluta con il cappello in mano .
Nel freddo mattino del 3 Novembre 1963, l’ ultimo tram a fili elettrici di Bologna partì appunto da quel capolinea per dirigersi verso la periferia lungo la direttrice Santo Stefano, via Murri (allora via Toscana), poi Chiesa Nuova e San Ruffillo ma questa volta, come un sogno che svanisce alle prime luci dell’alba, non tornò più .
L’Azienda tranviaria aveva inteso sostituire il vecchio mezzo di locomozione a manovella, con un servizio più moderno e adeguato ai tempi, un mezzo maggiormente veloce, con maggior movimento sulle strada e, si pensava, molto più rapido
Lo salutò una folla di curiosi , qualcuno con il “ magone” che usciva dall’espressione triste dello sguardo, molti curiosi e molte autorità .
L’ultimo tram era li immobile, fermo sulle rotaie ancora in funzione, vuoto come non avesse un anima e neppure un cuore, con un aspetto triste, anche se la carrozzeria era stata tirata a lucido, pulita e fresca, quasi che fosse stata riverniciata di fresco.
Qualche vecchio tranviere che aveva passato tutta la vita a girare la manovella, con la mano riparata da una metà di un guanto, osservava la scena con una espressione assorta, quasi trasognata o, forse , delusa .
Il tram è stato uno dei più bei ricordi della mia infanzia, dei miei anni giovanili .
Quando abitavo a S Ruffillo, il tramvai che veniva dal centro, si fermava come capolinea prima del ponte, a ridosso di una antica villa, credo si chiamasse “ villa Piana” e li attendeva l’orario per ripartire nel solito tratto. La prima fermata la faceva alle scuole Tambroni, poi alla località Frasca e via verso il centro. A Chiesa Nuova, in certi giorni della settimana, veniva agganciata una carrozza supplementare che portava la folla fino al centro .
La storia del tram a Bologna inizia nel lontano 1880, quando una società Belga prese in appalto il servizio e dal 15 settembre di quell’ anno, iniziarono a circolare.
Il tratto di marcia della sperimentazione tranviaria era il tratto da Piazza Vittorio Emanuele , ora piazza Maggiore, alla Stazione, un tragitto che si percorreva più velocemente a piedi che con il nuovo mezzo e i suoi stanchi cavalli .
Infatti i tram erano trainati da patetici ronzini, mal nutriti , con le ossa sporgenti tanto è vero che la popolazione prese a protestare vivamente sulla sorte di questi poveri animali che venivano additati alla pietà dei bolognesi. Ci furono infinite protesta alla società Belga tanto è vero che il direttore fu più volte minacciato di brutto e per due volte, poiché non se ne dava per inteso, si prese una bella razione di bastonate dalla popolazione
Capitavano tra l’altro anche vari inconvenienti , come quel pomeriggio che uno dei due cavalli da tiro, “ scioperasse” forse per fame, forse per sfinimento e si inginocchiò sul centro della strada mentre il conducente inveiva con frasi non davvero concilianti .
Un altro inconveniente , era che le ruote uscivano dagli “improvvisati” binari non ancora ben fissati nella carreggiata , ci voleva una buona dose di pazienza per farli rientrare .
A far concorrenza ai tram trainati dai cavalli, vennero gli Omnibus, una specie di diligenza sempre trainata da cavalli, ma molto più veloce e con un servizio rapido .
Bologna era divenuta una città “sperimentale “ per questo mezzo di locomozione e quando nel 1881 tentò di soppiantare il traino dei tram a cavallo con la nuova carrozza a vapore dal nome francese, i bolognesi si misero a ridere di gusto.
I “ cinni” o meglio , i “Birichini “ si divertivano a sabotare questi nuovi mezzi di trasporto del pubblico, con stramberie tutte nuovo , ideate da menti geniali fervide e sagaci. Nelle rotaie appoggiare sul terreno, senza mezzi di fissazione, venivano sbarrate o interrotte con qualche diavoleria, inventata li per li .
Finalmente con l’evento dell’elettricità , anche il servizio tranviario si modificò.
La prima vettura tranviaria a trazione elettrica, azionata dalla corrente vide la luce nel lontano 1904 .
Gli inizi , anche qui non furono molto felici . I bolognesi temevano che sulla piattaforma o seduti nelle panche, si sentissero troppo le scariche elettriche che venivano dal contatto con i fili e ci volle molto tempo per far capire ai viaggiatori che il pericolo non esisteva per niente.
Con l’introduzione dei tram a corrente elettrica, la società si trasformò . Si formò il “parco” tram fuori porta Galliera in località “Zucca” dove terminavano tutte le linee, si fecero corsi per il personale conduttore e bigliettaio e si usò una divisa propria che il personale doveva usare in servizio.
Lentamente il “servizio urbano “ si espanse . Dal centro le rotaie tramviarie incassate nel terreno iniziarono a condurre verso la periferia .
Il primo tratto lungo , fu Bologna centro - Casalecchio.
Questo avvenne nel 1907 quando l’ allora circondario casalecchiese era servito dal famoso
“ Vaporino “ che faceva capolinea in piazza Malpighi e che fu sostituito dalle rotaie del tram, seguito quasi a ruota dal suo “gemello” “ Il Vaporino 2” che portava la folla da Castel S Pietro a Bologna facendo tappa alla porta Maggiore.
Il tram a trazione elettrica divenne la novità che trasformò i percorsi e le abitudini di tutti i bolognesi .
Da “ cinni” ci aggrappavamo all’esterno dei veicoli nelle parti sporgenti, quasi sempre sul predellino, pronti a scendere veloci quando il tram si fermava e il bigliettaio cercava di raggiungerci per una buona e salutare ramanzina Del vecchio tram mi affascinava la grande ruota che era fissa alla piattaforma anteriore e che serviva da freno a mano e, la campanella di avviso , che era in una sporgenza. che usciva vicino al posto di marcia del guidatore il quale l’azionava con un colpo di piede annunciando l’avvicinarsi del mezzo, avviso quasi sempre indirizzato ai possessori di carri trainati con i cavalli che occupavano la carreggiata delle rotaie ..
In molte zone della città, specie dove il tram curvava, capitava che le “rotaie” o per cedimento del terreno adiacente o per la messa in opera troppo frettolosa, emergevano dal suolo stradale di qualche centimetro ed era il pericolo maggiore per le biciclette, i furgoncini e le moto tanto che vi era una tratto di rotaia fuori porta Galliera , verso Casaralta , che era conosciuta come “la rotaia assassina” per i tanti incidenti che causava.
Un tragico esempio della pericolosità di queste rotaie, fù in una edizione della Mille Miglia quando, a porta Zamboni, la pioggia e le rotaie più alte del manto stradale, fece sbandare l’auto di un concorrente causando una carneficina di morti e feriti .
Una altra innovazione si vide in tempo di guerra quando molto personale femminile sostituì quello maschile che era in larga parte al fronte, abituando così i bolognesi a donne che guidavano i colossi o ne assumevano il ruolo di bigliettaie.
Negli anni cinquanta- sessanta , anche il tram elettrico fu sostituito dai “Bus” e più avanti dagli “autobus”.
Tuttavia il ricordo del tram non è scomparso. E di tanto in tanto quando ci rechiamo in altre città come Milano, Roma e si sale sulle vetture che sembrano uscite da epoche che sono solo ricordi, una strana e dolce malinconia ci prende la gola.